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LE RIFORME POCO LIBERALI DI BRUNETTA


Un libro scritto da Renato Brunetta nel 2014 titola: “La mia utopia, la piena occupazione è possibile”. Leggendo la copertina di questo libro ci si rende conto dell’approccio ideologico che il neo Ministro del governo Draghi ha nei confronti del mondo del lavoro e in generale dell’economia. Sarebbe tutto assolutamente normale se non fosse che Brunetta è uno degli esponenti di rilievo di un partito dichiaratamente liberale: parliamo di Forza Italia.


In realtà andando a sfogliare la biografia del Ministro ci si accorge di quanto egli sia poco liberale, anzi è nei fatti un vero e proprio socialista. Negli anni Ottanta fu consulente economico del Partito Socialista, politicamente vicino a Gianni De Michelis, Vicepresidente del Comitato Manodopera e Affari Sociali dell’OCSE.


Sembrerebbe, quindi, che l’impostazione di Brunetta sia caratterizzata per lo più da un orientamento Keynesiano che non considera lo Stato come un arbitro imparziale della vita economica del Paese, bensì lo concepisce come il suo protagonista secondo la nota formula “più spesa pubblica, più crescita economica”.


Fatte queste premesse dobbiamo necessariamente analizzare quali sono le incombenze del Ministro per la Semplificazione e la Pubblica Amministrazione. A poche ore dal suo insediamento, l’Associazione Nazionale Comuni d’Italia (ANCI) ha chiesto con urgenza l’assunzione di 60.000 dipendenti nei prossimi cinque anni a fronte delle nuove responsabilità imposte dal Recovery Plan. A questa richiesta è poi seguita quella di semplificare le regole delle procedure concorsuali. Secondo l’ANCI i comuni hanno subito nu incremento del carico di lavoro a fronte di una perdita degli organici di circa il 25 % negli ultimi 12 anni. Il blocco delle assunzioni e “Quota 100” sarebbero le cause di questa emorragia di pubblici impiegati.


Altro punto cruciale per il lavoro del ministero guidato da Brunetta è legato all’anzianità di servizio dei dipendenti pubblici. Leggendo i dati messi a disposizione da Forum Pa sullo stato di salute dei dipendenti pubblici, si evince che a fronte di 3,2 milioni di impiegati il 16,9 % hanno compiuto 62 anni di età, mentre 198 mila hanno maturato 38 anni di anzianità. Stando a ciò che si legge dal documento l’età media dei pubblici dipendenti è di 50,7 anni e appena il 2,9 % di loro è under 30. Oltre alla questione anagrafica si aggiunge quella della formazione del personale, infatti solo quattro dipendenti su dieci risultano laureati, ciò ha ricadute indirette sulla capacità adattiva degli impiegati che tendenzialmente hanno difficoltà con la digitalizzazione del lavoro, un vero problema in periodo di Smart Working.


Ogni cittadino italiano spende 2.870 euro di media per i redditi dei dipendenti pubblici, l’Italia spende il 21% della spesa corrente (circa il 10% del PIL) in questo capitolo.


Alle pressioni dell’ANCI si aggiungono quelle dei sindacati. Le sigle sindacali in effetti non hanno mai gradito le crociate di Brunetta nei confronti dei “fannulloni” della pubblica amministrazione. Inoltre c’è una questione molto più pratica che preoccupa il governo: i rinnovi contrattuali dei lavoratori pubblici.


Il dialogo tra il ministro e i rappresentanti delle sigle sindacali inizia nel migliore dei modi: lo stesso Brunetta ammette in diretta TV durante la trasmissione mezz’ora in più su Rai 3 condotta da Lucia Annunziata, una cena di lavoro che sembrerebbe esser finita nel migliore dei modi a giudizio dell’intervistato.


Non sappiamo se la cena effettivamente abbia procurato qualche “indigestione” ma a giudicare dalle dichiarazioni dei sindacati dopo la firma del “Patto per l’Innovazione del lavoro pubblico e la coesione sociale” sembrerebbe proprio di no. Insomma sembrerebbe che il Ministro Brunetta si sia molto addolcito nei confronti dei dipendenti pubblici.


I sindacati ottengono delle importatati conquiste: un aumento medio di circa 107 euro per tutto il personale statale, la nuova disciplina per il lavoro agile (Smart Working), la formazione del personale, welfare contrattuale, sono solo alcuni dei temi trattati nell’accordo. A stupirsi del “nuovo” Brunetta durante la presentazione delle linee programmatiche in audizione alle commissioni Lavoro e Affari costituzionali di Camera e Senato, è addirittura la testata giornalistica Il manifesto che scrive: << Ascoltandolo qualcuno ha seriamente pensato che fosse l’imitazione di Crozza che gli faceva dire il contrario di quanto ha sempre sostenuto.>>


Sembrerebbe che parole come “fannulloni”, “Basta Smart Working” siano state definitivamente debellate dal nuovo vocabolario del Ministro Brunetta.


In questo valzer di richieste, necessità, diritti e buone intenzioni, ciò che non viene mai citato è come pagare queste laude concessioni. In una congiuntura di crisi economica spaventosa che vede l’Italia fanalino di coda della ripresa, si continua a parlare di misure che aumentano ulteriormente la spesa pubblica, e quindi il debito, ignorando completamente il settore privato.


È di gennaio 2021 il report della Banca d’Italia che ridimensiona le stime del governo sulla crescita. L’anno scorso il PIL è crollato del 8.9 %, bisognerà aspettare il 2023 per tornare ai livelli del Prodotto Interno Lordo del 2019. Il debito delle amministrazioni pubbliche è aumentato di 33.9 miliardi rispetto alla fine del 2020. Nel settore servizi, quello più colpito dalla crisi, la situazione è drammatica. Il 40% delle persone che hanno perso reddito nel 2020 prevede un ulteriore calo durante l’anno in corso.


Analizzando i dati di Lab24 aggiornati al 26 febbraio 2021, la situazione risulta ancora più preoccupante. Le ore di cassa integrazione sono aumentate del 1782 % (variazione annua) le prenotazioni dei ristoranti calate del 65.71 % (variazione pre-covid).


Gli effetti che la crisi ha in termini di disoccupazione o, si concentrano soprattutto su particolari categorie: giovani e donne. Il lavoro autonomo è quello che ha subito una maggiore flessione rispetto a quello dipendente, valore che si accentua nel momento in cui si prendono a riferimento i dati del 2019 in cui risulta un aumento di 158 mila unità dei dipendenti a tempo indeterminato e una diminuzione di 209 mila degli autonomi.


Dal quadro della situazione sembra ci sia un mondo che corre a due velocità. Da una parte il pubblico, lo Stato che può contare su risorse messe a disposizione grazie al continuo indebitamento, dall’altra il settore privato, fatto da piccole e medie imprese, di artigiani, di ristoratori, di liberi professionisti che sentono tutto il peso della crisi sulle loro spalle.


Le azioni che uno governo dovrebbe intraprendere in situazioni simili sono fondamentalmente due: abbassamento delle tasse e sburocratizzazione. Un abbassamento della pressione fiscale a vantaggio delle imprese permetterebbe a queste di liberare risorse in favore di investimenti e occupazione, mentre una pubblica amministrazione più “snella” e alleggerita da una burocrazia schiacciante non avrebbe bisogno di nuove assunzioni e potrebbe gestire meglio e più velocemente i fondi del Recovery Plan. Ma questa d’altronde è una ricetta liberale, non socialista.




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